Disturbi depressivi
Quello che la serotonina non spiega
Sono molti gli interrogativi che la depressione solleva. Perché ad esempio è ciclica? Come è noto, questa psicopatologia tende a risolversi autonomamente e a ripresentarsi, quando diventa cronica, dopo un periodo di totale o parziale remissione. I farmaci – come gli interventi psicoterapeutici finalizzati unicamente all’eliminazione del sintomo – nella migliore delle ipotesi accelerano una remissione che il naturale decorso della «malattia» prevede. Se si esclude la distimia, le altre forme sono caratterizzate da un pattern on-off. La depressione c’è o non c’è. Spesso i pazienti descrivono sia l’uscita che l’ingresso nella «malattia» come eventi improvvisi, a volte inaspettati. È una singolarità della depressione. Le altre psicopatologie quando si cronicizzano tendono a perdurare nel tempo: la gravità dei sintomi fluttua ma il disturbo rimane. Non è così per la depressione. Come mai?
Il nesso fra depressione e arte solleva un altro interrogativo enigmatico. Come mai persone con una triplice visione negativa: di se stessi, del mondo e del futuro (secondo la celebre definizione di Beck), sono in grado di creare opere importanti e tra cui alcuni tra i più grandi capolavori artistici? Come mai così spesso realizzano opere notevoli, non soltanto nel campo dell’arte, ma anche nelle mondo economico, delle professioni e del business? Perché le persone con organizzazione depressiva contribuiscono a creare, come ormai numerose ricerche hanno dimostrato, gli eventi negativi che tendono a colpirli con maggiore frequenza di quanto accade nelle altre organizzazioni? Infine come mai persone con una grande capacità di recidere i legami e con un senso tanto acuto della solitudine come i depressi cronici, rompono con tanta difficoltà la relazione di coppia? Linares e Campo (2000) sottolineano, e con ragione, che i depressi gravi, così come i bipolari, sono tra i pochi pazienti psichiatrici a stabilire una relazione di coppia stabile e significativa.
Valeria Ugazio risponde a molti di questi interrogativi e ad altri in
STORIE PERMESSE STORIE PROIBITE
POLARITA' SEMANTICHE FAMILIARI E PSICOPATOLOGIE
di Valeria Ugazio
6° capitolo (pp.263-300): è un capitolo totalmente nuovo!!
Torino: Bollati Boringhieri, 2012
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Se la carenza di serotonina fosse davvero la causa della depressione, come è stato sbandierato per anni dalla psichiatria biologica e dall’industria farmaceutica, gli interrogativi a cui Ugazio risponde, come altri che la depressione solleva, non riceverebbero alcuna risposta.
Ma la serotonina gioca davvero un ruolo importante nelle depressioni?
Di fatto le ricerche di cui disponiamo non dimostrano affatto che la carenza di serotonina eserciti un effetto causale sulla depressione.
A partire dal 2000 la tesi che la depressione sia una malattia del cervello, assimilabile all’asma o al diabete, la sua presunta sbalorditiva crescita in Occidente e l’efficacia dei serotoninergici sono state, soprattutto negli Stati Uniti, duramente messe in discussione. Il dibattito che si è aperto, pur avendo la depressione e i serotoninergici come bersagli, ha messo in discussione la credibilità della stessa psichiatria, ipotizzandone pesanti collusioni con Big Pharma. Le ragioni non mancano.
I dati di cui disponiamo dimostrano che circa il 25 per cento dei pazienti depressi presenta livelli bassi di serotonina o di norepinefrina (Valenstein, 1998; Horwitz e Wakefield, 2007). Se l’ipotesi della deficienza di serotonina fosse eziopatologicamente corretta, spiegherebbe quindi soltanto una parte limitata di casi. Ma non è corretta, almeno eziopatologicamente. I bassi livelli di serotonina riscontrati in questi pazienti possono infatti essere la conseguenza anziché la causa della depressione. Nessuna evidenza empirica ha dimostrato che lo squilibrio chimico sia la causa della depressione. Anzi, sappiamo che nelle scimmie accade esattamente il contrario.
Per saperne di più:
A.V.Horwitz and J.C. Wakefield (2007)
The loss of sadeness. New York: Oxford University Press
I risultati che hanno avuto una risonanza maggiore riguardano l’efficacia del Prozac e degli altri SSRI e i loro effetti secondari così come sono emersi dai test clinici in doppio cieco. Si tratta di risultati sconcertanti. Presentati come miracolosi, questi farmaci hanno effetti identici o di poco superiori al placebo.
È vero che i SSRI aumentano il rischio suicidario?
Sembra proprio di sì ed è questo il dato più preoccupante. Lo chiamano il “little dirty secret” (Kirsch,2010). La Federal Drug Administration sapeva e ha taciuto.
L’incremento dei comportamenti suicidari è stato dimostrato per bambini, adolescenti e giovani adulti tanto che la Federal Drug Administration ha recentemente concluso che «i SSRI duplicano, rispetto al placebo, il rischio di pensieri e comportamenti suicidari nei soggetti depressi fino a 24 anni» (Kirsch, 2010, p. 151).
È vero che la depressione sta incrementando in modo esponenziale?
No, i dati allarmanti diffusi negli ultimi vent’anni sono generalmente gonfiati. Non sono aumentate le persone depresse, ma le diagnosi e i trattamenti farmacologici per questa psicopatologia perché sono cambiati i criteri diagnostici.
Il DSM, a partire dalla sua terza edizione del 1980, ha introdotto criteri così poco discriminativi e decontestualizzati per la diagnosi di «depressione maggiore» che confluiscono in questa categoria diagnostica tanto persone normalmente tristi a causa di eventi negativi, quanto pazienti affetti da depressione clinica. Duemilacinquecento anni di tradizione clinica occidentale sono stati spazzati via dalla terza edizione del DSM in poi. Persino la tradizionale distinzione psichiatrica fra le depressioni «endogene» – causate per definizione da processi interni, in assenza di eventi esterni negativi – e le depressioni «reattive» – scatenate da perdite e altri eventi sociali negativi – è ignorata.
Non siamo quindi di fronte a un’implosione dell’Occidente nella depressione. Le depressioni gravi, unipolari o bipolari, continuano a essere infrequenti. Sono cambiati i criteri diagnostici: la tristezza si è trasformata in un disturbo mentale e la depressione clinica è confluita nell’erede della psicosi maniaco-depressiva.
Per saperne di più
- Healy, D. (2004). Let Them Eat Prozac. New York: New York University Press
- Horwitz, A.V. e Wakefield J. C. (2007), The Loss of Sadness. How Psychiatry Transformed Normal Sorrow into Depressive Disorder, Oxford University Press, New York.
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Kirsch I. (2010), Antidepressants: The Emperor’s New Drugs?, Basic Books, New York.
- Joiner T. E. e Coyne J. C. (a cura di) (1999), The Interactional Nature of Depression, American Psychological Association, Washington DC.
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Linares J. L. (2010), Depressione e distimia: basi relazionali e guide per l’intervento, Ter. Fam., vol. 94, 79-94.
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Loriedo C. e Jedlowski M. (2010), Aspettative totalizzanti e relazioni familiari nella depressione, Ter. Fam., vol. 94, 60-78.
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Pettit J. W. e Joiner T. E. (2006), Chronic Depression. Interpersonal Sources, Therapeutic Solutions, American Psychological Association, Washington DC.
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Prince J. e Gardner R. (1999), Sociophysiology of Depression, in Joiner e Coyne (1999).
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Ugazio, V. (2010). Quello che la serotonina non spiega. Terapia Familiare, 94, 7-20.
- Ugazio, V. (2010). L’appartenenza negata. Il contesto intersoggettivo delle organizzazioni depressive. Terapia Familiare, 94, 41-59.
Greenberg G. (2010). Manufacturing Depression. The Secret History of a Modern Disease. New York: Simon & Schuster [trad. it. Storia segreta del male oscuro. Torino: Bollati Boringhieri, 2011]